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ZLEC/ACFTA, ZONA LIBERO SCAMBIO CONTINENTALE: PRIORITA' E STRATEGIE


Tra una decina di giorni, precisamente il 30 maggio, entrerà in vigore l'accordo di libero scambio continentale ZLEC in 22 nazioni africane. Per alcune di queste nazioni, in qualità di membri dell'Unione monetaria ovest africana, questi accordi non sono una novità, ma concorreranno più che altro al consolidamento di intensi scambi preesistenti.


Sarà possibile attuare il testo nelle condizioni attuali, partendo dalle controversie e problematiche sorte nella definizione del livello di apertura dei mercati, delle quantità o tipologie di merci? A mio avviso, il problema non sussiste, in quanto viene notevolmente trascurato il potenziale intrinseco alle differenze culturali, geografiche, climatiche e socio economiche del continente. Ogni stato membro detiene caratteristiche specifiche alle proprie risorse naturali e demografiche. Ciò costituisce un vantaggio piuttosto che un limite alle performance, in quanto delle tipologie di colture o prodotti singolari a uno stato possono suscitare interessi su scala più importante, occasionando siffatto una produzione maggiore. Ad esempio, più vini sudafricani e ruandesi accanto ai quelli europei sul mercato ovest africano occasionerebbe un miglioramento del rapporto qualità-prezzo. Abbattiamo quindi queste barriere doganali senza pensarci troppo, e concentriamoci su un obiettivo prioritario, delle strategie migliori come la partecipazione attiva del settore privato all'azione.


Secondo gli esperti, i principali ostacoli sono la mancanza di infrastrutture, la perdita in gettito fiscale, e varie problematiche legate alla sicurezza alimentare, alla conservazione dei prodotti, al flusso delle merci e all’incidenza dei costi di trasporto. Osservazioni più che giuste. Tuttavia, non si dovrebbe tralasciare che rimediare a tutte queste problematiche contribuirà appunto alla proliferazione di nuove attività imprenditoriali.


Se in genere la tendenza è ignorare le priorità per lo sviluppo sostenibile del continente, si spera che il libero scambio intercontinentale sia effettivo, e non solo una competenza ristretta ad una cerchia dei poteri politico ed economico. Le aspettative sono ben troppo enormi per affrontare l'argomento in modo basilare, senza avere un obiettivo concreto a forte impatto socio-economico. Altrimenti, saremo di fronte ad un’ennesima politica d’integrazione economica al livello regionale fallimentare.


La priorità è creare nuove ricchezze, per cui è fortemente richiesta la partecipazione di tutti senza eccezioni, per fare uscire dalle fitte foreste o steppe difficili da raggiungere qualsiasi prodotto che possa costituire una risorsa, un valore aggiunto, un materiale essenziale per l'industria, il commercio, o l’artigianato in tutta l'area. L'obiettivo deve essere quello di convogliare più prodotti locali in mercati diversi, in modo tale da essere accessibili ed apprezzati su larga misura. Sarà necessario incoraggiare la creazione di punti di transito e commercio all’ingrosso, facendo così rinascere le comunità rurali, e non solo le capitali. La storia ci insegna che le città in aree remote come Thies, Mopti, Gao, Timbuktu, secoli prima delle città costiere, furono grandi centri di scambi commerciali e culturali che hanno contribuito alla grandezza delle nostre civiltà durante l'era precoloniale.


Si tratta di garantire questa continuità indipendentemente dalle carenze in infrastrutture o in logistica. La forza dell'africano risiede proprio nella sua capacità di adattarsi, di reinventarsi di fronte al cambiamento. Nonostante il degrado delle nostre strade, delle soluzioni pragmatiche hanno consentito comunque alla gente di smerciare. Servono ai nostri produttori, più che le infrastrutture, nuovi mercati. Pertanto, si deve dare priorità allo sviluppo degli scambi tra zone transfrontaliere, regolando, controllando, semplificando investimenti ed iniziative private, le più minime che siano, spostando gli sforzi ed impegni nelle località territoriali. Soprattutto ora che si dovrà reperire altre risorse per compensare il deficit creato dall'accordo, avviare lo sviluppo dei territori e delle micro imprese diventa imperativo.


 
 
 

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